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su diario del pane
nota di salvatore jemma

Questo diario del pane è un diario della fame; di parole, certo, ché l’altra, quella materiale, non ci appartiene, naturalmente (fortunatamente), anche se andrebbe ricordato (lo ricordo soprattutto a me stesso) che quanto di ricco e opulento abbiamo noi (occidente opulento e ricco), è tolto ad altri (resi miserabili e con la sola polvere – con il sole nella polvere). Ma qui di altra fame si tratta - delle parole, di comunicazione per poter dire, capire e, anche, costruire una comprensione dei problemi che sconvolgono quel mondo reso miserabile. In questo, Massari tende la corda della poesia fino a un limite per il quale occorre fermarsi e prendere un buon respiro, come dopo una corsa improvvisa dataci da un fuggi fuggi generale. E se le sue parole non aspettano qualcosa né qualcuno - mi pare anzi se ne infischino bellamente che le si aspetti - queste comunque arrivano, direi si impongono con la tenacia di un passo il quale, nel buio della notte, avanza lentamente ma ostinatamente. Il continuo passaggio da una dimensione privata a quella del mondo, dei disastri del mondo, è ben chiaro; c’è un sentito coinvolgimento sulla propria pelle, della propria pelle; e il buio, il nero, la madre, gli altissimi signori, la guerra, il sangue, il male forte, la terra, i servi muti, sono figure che rappresentano una storia, viva e cosciente, del mondo; con una poesia che gli si pone davanti pronunciando il disprezzo per la sua volgarità, per la sua miseria morale.

Salvatore Jemma

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