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intorno al libro dei vivi, di Dario Capello



“ Pazienza e denti “. Prezioso sintagma che riassume due poli centrali nell’architettura simbolica generale del libro. La pazienza allude al rigore, al ticchettìo dei ritmi, alla resistenza, a quella disciplina della parola che sola può opporsi al disfacimento delle cose. Può opporsi in quanto lo testimonia. Occorre una giustizia di parole, dal momento che “ la morte indovina ogni legge “.
Con evidenza, i denti indicano poi una vasta costellazione di figure dell’ aggressivo: masticare, divorare, furore, squarcio…Questo tema dell’aggressività e della ferita diventa, nel suo ricorrere ossessivo nel testo, quasi un mito personale dell’autore; mito che va a incrociare, innervandoli, quelli che Alberto Bertoni ha ben indicato quali archetipi generali di riferimento ( il pane, il sangue, ecc… )
E quel procedere a fiondate della scrittura, quella scansione particolarissima del verso risolto in cellule, in schegge che cercano il loro significato anche liberandosi da un significato, quella scansione, dicevo, genera un clima di singolare intensità: il pathos.
Risultato espressivo dominante diventa quello di una parola monologante e febbrile, viva di incandescenze. Una parola a voce alzata, netta, scandita sul registro del drammatico. Qui l’urlo di Munch, trascinato da tutti i suoi stessi echi di natura espressionistica, incontra la sua “ lingua di grazia “, in un tempo musicale, oltre che strutturale, che vorrei definire: allegro feroce ( mutuando l’espressione da un’indicazione di Bellini per il coro della Norma ).

Dario Capello

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