su diario del pane
recensione di gianfranco fabbri
Sarò sincero: la lettura di “Diario del pane”, di Stefano Massari, mi ha creato qualche problema di ansia e di inquietudine; non tanto per i poli tensioattivi ricorrenti – come la notte, la guerra, il buio e le relazioni para-pseudo-umane vissute all’interno di pareti coercitive – quanto invece per il senso di ineluttabilità che si respira dalla prima all’ultima pagina. In una tale dimensione psico-geografica non si riesce a comprendere quale sia il grado di coscienza vissuto. A fasi alterne, mi sono sentito morto, vivo, non-vivo, pseudo-vivo, non-morto, ed altro ancora. Mi sono così identificato con l’imperio dell’”io” narrante, affatto amorfo, inter/sessuale, e munito di disperanti problemi di collocazione parentale. Il corpo, di volta in volta, offerto ai personaggi di questa quasi-vita, è un sistema che si apre e che accoglie oggetti mentali e oggetti veri, il tutto in una sorta di comunione eucaristica, sempre in progress, e sempre da ridefinire. Chiaro, a mio avviso, il passaggio di pagina 8,
“ha il torace spaccato . il ragazzo del pane . e parla coi cani . che l’inverno ha portato acqua buia quest’anno . // ...”.
Ci abitueremo ben presto ad accettare la rocambolesca “ridefinizione” del corpo umano, e non solo: pure gli oggetti, che in esso sono imprigionati, danno al codice di lettura una felicissima incisività, accompagnando in tal senso i misteri del poeta intorno al significato della cautela e dell’avvertimento.
I morti, secondo Massari, sono forse dei dissidenti, rispetto alla folla dei “messi in scena”. La voce narrante, che si esprime in prima persona, ha curiose e angoscianti intersezioni con l’”estinto”, come ad esempio il berne la saliva o il rendersi carnale, intima con lui a tal punto da risultare un’unica entità.
La pratica cannibale, in questo contesto, è reiterata e svolta quasi secondo un protocollo sacrale, sontuoso. A pagina 13 si può leggere:“dolce . finché puoi . vivimi dentro dolce . che io sopravvivo / e non scrivo più guerra . e non dico più rabbia . ma l’innocenza della madre / che mangia il suo bambino . e guarda il confine . e prega ./”,
un brano, questo, che bene interpreta l’intimità degli oggetti umani, di qua e di là dalla vita.
Si avvertono ovunque segnali di pericolo. A pagina 16, la notte aggredisce i bambini, ponendo loro “unghie addosso”, come farebbe una qualsiasi madre / morte.
La guerra, evento/umore/sentimento, che domina questa specie di inter-mondo, è la nota costante e compatta della raccolta ; è un conflitto fatto nuovamente da azioni bellico-cannibali. Infatti, a pagina 19, è l’”IO” narrante a farsi vittima, invocando l’interlocutore a divorargli la memoria, le mani e quant’altro. Forse, è qui narrato il desiderio dell’autosottrazione? L’invito al cannibalismo è chiaro e si concreta alla pagina seguente, laddove viene messa in scena una situazione quasi omologa ; ovvero, l’IO che stanzia nella gola e dentro il torace dell’”altro”, tanto da credere quasi che la presenza, altro non sia che un alter-ego del narrante stesso.
Alla notte si affianca, come figura di maggiore impatto, la saliva. Saliva intesa come qua trofica (e in effetti, si beve) o benedetta, alla quale attingere linfa di spirito e di salute.
La guerra, infine.
Di essa ne abbiamo già dato cenno, qua e là. L’esatto suo significato, secondo il punto di vista di chi scrive, è da ricercarsi nel senso esplosivo del corpo umano. Bastino questi versi a chiarire il nocciolo dell’affermazione:
“sole basso . esausto . protetto solo dalle tue braccia in volo ./ i sani e perfetti tracciano i limiti del corpo . / altissimi signori masticano le braccia di ogni sforzo . / i martelli del controllo perquisiscono bocche / in cerca di bombe da disinnescare . / stanno in silenzio i servi del verme . / preparano le prossime battaglie dell’insulto .// “ ;
più che storia, o metafora della storia, esiste qui un’intesa: una Storia di conflitti, una serie di battaglie di sventramento corporale.
Le figure retoriche si riassumono, in congrua percentuale, nella metafora e nella sua derivata : la sinestesia. Massari ci abitua ad accostamenti arditissimi, avvicinando piani sensoriali diversi con elevata qualità fantastica.
Come giustamente osserva Alberto Bertoni nella sua nota introduttiva al libro, l’Io narrante lascia, a poco a poco, il posto al “noi”, forse allo scopo di fornire al contesto una sicura venatura corale, che dal soggettivo si volge all’ oggettivo, fornendo in tal modo una visione collimante con la realtà cruda del nostro mondo di oggi : dove non è, o non pare essere, più necessario indicare l’uso di alcun codice “ortodosso” di convivenza asettica, e dove la coscienza di vivere come uomini lucidi diviene elemento del tutto trascurabile o relativo.
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