Chissà perché mi sono convinto che uno dei modi più legittimi e anche divertenti per impadronirsi, in quanto lettori-autori, di un libro di poesia sia quello di rinvenire i passaggi di parole, i grani di parole che il poeta propone in una determinata e propria sequenza e che il lettore, se disposto, dispone nella sua. La poesia, quindi come anche proposta, magazzino di materiali. Materiali a disposizione che però è l’intenzione iniziale, aurorale, autorale, a rendere disponibili alle diverse combinazioni. Senza costruzione non c’è decostruzione. Senza progetto non c’è appropriazione.
E’ la grana delle parole, la loro materialità che cerco nella poesia di oggi. Quella poesia che oggi vuole tornare a combinare un patto col lettore, un senso condiviso: allora io la desidero densa e malleabile allo stesso tempo. Mia e sua. Spostabile ma pesante: ne voglio sentire l’ingombro e il fiato,voglio materia da lavorare.
Oggi alla poesia non chiedo più solo senso, voglio peso, voglio il contrario della leggerezza.Voglio masticare. Così io ora mi sono sentito legittimato a leggere ad alta voce il “ mio” Massari e a dire ad alta voce: “questo è il mio, di questo è fatta la mia amicizia con questo autore”. Ho scavato nella sua poesia il mio sentiero che oggi è questo:
quale bestia ora amico dei nodi duro e senza pace passo e tremo invecchio
ma è la serpe obesa il legno duro del lutto
corro per le figlie tue per le figlie mie in pieno sole
metto via legnetti e fili del mio odore davanti a casa tua agnello tessitore
per vedere me bellissima di muso incapace di lamento
sta lavora mangia tace non chiede altro al mondo atroce
oltre i muri di santa luce santa pace santo ordine feroce
i centrali muti ogni coro animale fa il suo passo obbediente come tra due mani sorelle segrete come tra due serpi unite e bruciate per sempre.
da te imparo e apro provo l’onda con il fiato e spingo
a te che credi ancora al tuo cielo
chiedo se davvero ami me anche dopo il male questo e quello ancora a venire nelle
ore e nei secoli tentati.
chiedo se davvero ami me anche dopo il male questo e quello ancora a venire nelle
ore e nei secoli tentati.
Massari persegue una traccia poetica che invalida le timidezze, assedia i non detti, accerchia i mezzi termini: chiama le cose col loro nome crudo e difficile, l’unico vero dentro un quadro di esperienza così severa della realtà: la difficoltà è chiamata sangue, Dio è Dio, il sole batte e lo fa senza pietà ma con sapienza di immagini.
Massari quando lavora con le parole non si ritrae dall’enormità dell’esperienza e anche della creazione, anzi la cerca, perché i versi di Massari, barbari ed eleganti, densi e appuntiti, tengono conto di tutto: di Freud e di Joyce, di Kafka e di chi balbetta.
Massari sa esattamente dove è ma vuole andare oltre: cerca non la primordialità, non l’animalità, ma la bestialità parlante che è in noi; quell’essere grevi e leggeri, grevi perché leggeri che ha segnato l’inizio del nostro sentiero di uomini. Grevi, leggeri, bestiali, poeti: tre dati, una possibilità.
Massari quando lavora con le parole non si ritrae dall’enormità dell’esperienza e anche della creazione, anzi la cerca, perché i versi di Massari, barbari ed eleganti, densi e appuntiti, tengono conto di tutto: di Freud e di Joyce, di Kafka e di chi balbetta.
Massari sa esattamente dove è ma vuole andare oltre: cerca non la primordialità, non l’animalità, ma la bestialità parlante che è in noi; quell’essere grevi e leggeri, grevi perché leggeri che ha segnato l’inizio del nostro sentiero di uomini. Grevi, leggeri, bestiali, poeti: tre dati, una possibilità.
Poi sul “ Libro dei vivi “ voglio tentare una nota più propriamente stilistica ed è questa :
nelle nuove poesie di Massari la parola è presa in tutta la sua possibilità di senso; la parola è parlata come una cosa, è rullata in bocca come un boccone e come un boccone giudicata. E’ materia che va al di là del proprio segno perché Massari le imprime altri significati. Non la snatura ma la esplora . Lo si faceva, una volta, in poesia. Ad esempio lo faceva Celan, lo faceva Trakl. Massari torna a questa pratica, senza nulla avere a che fare con l’astrattismo, ma molto invece con il ragionare il rinvenire la realtà nascosta: realtà, attenzione che ci sono, sono lì nelle parole, realtà che non siamo noi (autori o lettori) ad inventare a auspicare o amare, ma realtà nella parole che vanno scavate, rinvenute…quindi questa poesia così densa e in presa diretta col reale, così arresa, in prima battuta, al sentire, in verità ha molto a che fare col pensare; anzi, la poesia di Massari serve per ragionare perché lavora non sulla narcisistica parola singola ma sui nessi delle parole per estrarre dalle parole tutti i pensieri possibili.
nelle nuove poesie di Massari la parola è presa in tutta la sua possibilità di senso; la parola è parlata come una cosa, è rullata in bocca come un boccone e come un boccone giudicata. E’ materia che va al di là del proprio segno perché Massari le imprime altri significati. Non la snatura ma la esplora . Lo si faceva, una volta, in poesia. Ad esempio lo faceva Celan, lo faceva Trakl. Massari torna a questa pratica, senza nulla avere a che fare con l’astrattismo, ma molto invece con il ragionare il rinvenire la realtà nascosta: realtà, attenzione che ci sono, sono lì nelle parole, realtà che non siamo noi (autori o lettori) ad inventare a auspicare o amare, ma realtà nella parole che vanno scavate, rinvenute…quindi questa poesia così densa e in presa diretta col reale, così arresa, in prima battuta, al sentire, in verità ha molto a che fare col pensare; anzi, la poesia di Massari serve per ragionare perché lavora non sulla narcisistica parola singola ma sui nessi delle parole per estrarre dalle parole tutti i pensieri possibili.