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recensione a libro dei vivi di Claudio Di Scalzo



Leggendo questi versi, capitombolando da un frammento all’altro, anche sorpreso dall’arditezza delle metafore e dalla scansione aforistica portata per sua natura ad incidere le pupille di chi legge, ho capito che la suggestione, ma direi seduzione subita nella lettura, stava nella considerazione che sapendo Massari, il poeta, cresciuto con i video e sul web,

(è tra i fondatori di FuoriCasaPoesia e ne cura il bollettino mail-magazine di poesia e critica letteraria www.fuoricasapoesia.blogspot.com) scoprivo – in una tarda serata estiva in Valchiavenna – un andamento sapienziale dettato dall’incrociarsi di antichità, tradizione detto meglio, e novità. Il Libro dei vivi, dove ovviamente trapela il rimando alla tibetana altitudine e alle sue pagine, è allora un libro che mi appare mistico, intriso di quel sacro che soltanto la modernità telematica può riproporre oltre il tradizionalismo reazionario, perché si nutre di immagini, di spezzoni oracolari, e di commistioni dei diversi vizi e virtù direttamente scarnificati nel corpo di un secolo agnostico o al più miscredente. In questa poesia c’è la torsione, a volte con un eccesso di manierismo, del sacro verso esiti non millenaristici, ma giornalieri, come se la fine del tempo fosse già avvenuta e gli empiti didascalici per la salvezza: un po’ come certo francescanesimo che tuonava sotto le volte di cappelle romaniche, si svolgono del deserto della cultura È possibile oggi ripetere il linguaggio profetico che scosse le vene ai Blake e ai Christopher Smart con i loro Agnus Dei figlianti precoci visioni? Penso di sì. Ottenere il massimo di visibilità non più nell’affresco medievaleggiante ma sulla rete e insieme il massimo di oscurità perché il sacro si restringe quando più conti di afferrarlo. Come certe ombre raccontate dal poeta.

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