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intorno al libro dei vivi, di Dario Capello

“ Pazienza e denti “. Prezioso sintagma che riassu me due poli centrali nell’architettura simbolica generale del libro. La pazienza allude al rigore, al ticchettìo dei ritmi, alla resistenza, a quella disciplina della parola che sola può opporsi al disfaci me nto delle cose. Può opporsi in quanto lo testimonia. Occorre una giustizia di parole, dal mo me nto che “ la morte indovina ogni legge “. Con evidenza, i denti indicano poi una vasta costellazione di figure dell’ aggressivo : masticare, divorare, furore, squarcio…Questo tema dell’aggressività e della ferita diventa, nel suo ricorrere ossessivo nel testo, quasi un mito personale dell’autore; mito che va a incrociare, innervandoli, quelli che Alberto Bertoni ha ben indicato quali arche tipi generali di riferi me nto ( il pane, il sangue, ecc… ) E quel procedere a fiondate della scrittura, quella scansione particolarissima del verso risolto in cellule, in schegge che cercano il loro significato anche liberandosi da un

lettera di Gian Ruggero Manzoni per libro dei vivi

Caro Stefano il LIBRO DEI VIVI è opera che convince. Chi ti aspettava al varco dopo DIARIO DEL PANE ha avuto il suo companatico. L'insieme funziona e, dal tragico, induce al resistenziale con verità e, soprattutto, con onestà. Hai mantenuto il tuo ritmo, quindi il tuo respiro e il tuo passo, e ciò ti distingue. E' raccolta di grande apertura all'interpretazione, anche orale, e conduce in territori della parola fuori dai canoni vigenti, segnando l'originalità del tuo essere in poesia e quale uomo d'impegno. L'impianto è sostenuto da una tensione tradizionale, mentre lo svolto induce a sonorità legate all'odierno. Miscela che, come sai, amo. Grazie per questo tuo dono e per come ci induci al continuare a poetare. Ti abbraccio. Gian Ruggero Manzoni

filippo davoli su 'diario del pane'

È stata una sorpresa superiore alle attese, la lettura di Diario del pane di Stefano Massari. La perseguita, esplicita "non intenzione" di dialettica argo me ntativa (Alberto Bertoni), attraverso la quale l’autore conduce la propria ricerca sulla scrittura inchiodando i periodi tra due punti fermi, in secche i mm agini di forte simbolicità, ha ai miei occhi, invece, il valore – tipi co di un’intera generazione: la nostra – di (tentare di) dare alla parola (e alla parola poetica) un’attendibilità reale, verificabile, autentica me nte attendibile; quasi un calco perfetto del sentire (le cose, se stessi, gli altri, la stessa vita, la voce). I lacerti straniati che Massari lascia affiorare, all’interno degli ipogra mm i, divisi dall’utilizzo del punto, si ricompongono e sviluppano (uno nell’altro, uno dall’altro) trovando una singolare unità nei simboli cui frequente me nte Massari ricorre, richiamandoli sovente, in quello che si rivela essere, man mano che la lettura si s

Riflessioni elastiche su diario del pane di mimmo cangiano

No, franca me nte io non parlerei di rabbia così a colpo sicuro, il problema che all’angoscia gira intorno parrebbe essere più legato ad un definito spirito profetico e ad una visionarietà che ricerca l’essenziale per dare tipologie alla complessità, preferisco dunque definirlo “dra mm a girovago dell’assenza”. Vi è un gioco ambiguo che di volta in volta si finge univoco, la visione di un mondo in interrotto disfaci me nto si salda allo sguardo di chi scrive su di un corpo che dor me , nella sensazione di infinita dolcezza davanti al vulnerabile; vi è un colore dominante nel libro, è il bianco, bianco scorrere ininterrotto del tempo, sia esso storico o astorico, bianca essenzialità, colore del silenzio, film muto con fruscio in sottofondo, lenzuolo sul quale affiorano a tratti i segni neri della penna e dell’uomo e sono le poesie. Ciò che sembra impossibile è la resa, vi si contrappone la visione di un’umanità innocente in quanto più vicina al suo stato “animale”, di cui i bam

lettura del diario del pane di maria grazia calandrone

Entriamo di getto in un libro senza maiuscole, di terra e sale, un impasto morale di corpo nominato insieme e nella sua anatomia, in un discorso che avanzando si scioglie: dalla guerra all'amore – ma vigile. Siamo davanti a un autore con gli occhi aperti e pieno di forza – della forza che ci vuole a guardare e a lasciarsi ogni tanto cadere. Sentiamo con sollievo che dietro queste pagine c'è una persona che non tradisce e che destina con fiducia le sue parole a un lettore (che sembra non importare se sia morto o vivo). Basterebbe questa fiducia, questa esposizione, a fare di un libro un libro di poesia: è rara, è seria, pacata e furiosa. A lettura ultimata, a cose fatte, si sente di non essere sfuggiti all'ascolto – quella fermezza ha reso inevitabile che noi le prestassimo orecchio – e ne usciamo riconoscenti e più vicini alla nostra umanità (con una specie di pietà eroica verso la nostra miserevole splendida macchina corporale) come dopo un bagno, dalle sferze di crine, le
recensione a diario del pane di marco ercolani Un poeta inconciliato A quale definizione risponde un libro anomalo e suggestivo come Diario del pane di Stefano Massari (Raffaelli, 2003)? A nessuna che lo catturi e descriva interamente. Il libro inizia con questa poesia scritta in corsivo al centro della prima pagina: “non sono nato per obbedire o disobbedire / sono nato per dare o chiedere ascolto” . Così l’autore ribadisce la sua posizione da poeta inconciliato . I suoi versi - che anche tipograficamente non si mostrano come versi tradizionali ma come righe dove si formano immagini e metafore - assomigliano a stenogrammi lirici di una voce ininterrotta, risentita, accusatrice. O piuttosto, a secche partiture per voce sola. Ma non si tratta di una voce conciliante, autobiografica, minimale. La voce di Massari è nuda, spoglia: è il frammento di un noi - sotterrato, sommerso, oppresso – di un canto generale che nutre un io lacerato e sonnambulo, ancora capace di sillabare parole s
intervista di Maria Gervasio intorno al diario del pane apparsa sul quotidiano il Domani (inizio 2004) I tuoi versi sono molto “forti”, parlano di guerra e di urla, di fango e di terra, di urina e di pioggia, del nascere e del pregare. E poi c’è il pane, spezzato, offerto, ma anche assente fino alla fame: è questo il suo diario, è il diario di questo pane? Ho usato la parola pane per liberarmela. Per riprenderne possesso. Non solo il pane ma ognuna delle parole che ho scritto nel libro. Morte, guerra, luce, dolore, dio... so bene che oggi pronunciare e scrivere queste parole è rischioso. In poesia è quasi praticamente vietato. Comunque da molti malvisto. Io però avevo bisogno di liberare, di restituirmi queste parole. Ho tentato di oltrepassare ogni sovrastruttura precostituita, per entrare in contatto con l’enorme radice “concreta” di esperienza che queste parole contengono. Nella mia vita e credo nella vita di tutti. Segni e suoni umani prima ancora di ogni cultura. Forse. Tutto
su diario del pane nota di salvatore jemma Questo diario del pane è un diario della fame; di parole, certo, ché l’altra, quella materiale, non ci appartiene, naturalmente (fortunatamente), anche se andrebbe ricordato (lo ricordo soprattutto a me stesso) che quanto di ricco e opulento abbiamo noi (occidente opulento e ricco), è tolto ad altri (resi miserabili e con la sola polvere – con il sole nella polvere). Ma qui di altra fame si tratta - delle parole, di comunicazione per poter dire, capire e, anche, costruire una comprensione dei problemi che sconvolgono quel mondo reso miserabile. In questo, Massari tende la corda della poesia fino a un limite per il quale occorre fermarsi e prendere un buon respiro, come dopo una corsa improvvisa dataci da un fuggi fuggi generale. E se le sue parole non aspettano qualcosa né qualcuno - mi pare anzi se ne infischino bellamente che le si aspetti - queste comunque arrivano, direi si impongono con la tenacia di un passo il quale, nel buio della nott
su diario del pane recensione di gianfranco fabbri Sarò sincero: la lettura di “ Diario del pane ”, di Stefano Massari, mi ha creato qualche problema di ansia e di inquietudine; non tanto per i poli tensioattivi ricorrenti – co me la notte, la guerra, il buio e le relazioni para-pseudo-umane vissute all’interno di pareti coercitive – quanto invece per il senso di ineluttabilità che si respira dalla prima all’ultima pagina. In una tale di me nsione psico-geografica non si riesce a comprendere quale sia il grado di coscienza vissuto. A fasi alterne, mi sono sen tito morto, vivo, non-vivo, pseudo-vivo, non-morto, ed altro ancora. Mi sono così identificato con l’imperio dell’”io” narrante, affatto amorfo, inter/sessuale, e munito di disperanti problemi di collocazione parentale. Il corpo, di volta in volta, offerto ai personaggi di questa quasi-vita , è un sistema che si apre e che accoglie oggetti me ntali e oggetti veri, il tutto in una sorta di comunione eucaristica, semp
l ettera di Francisca Paz Rojas su EIZEL - di cosa è fatto un teatro ciao, ti ringrazio per il video!, è stato bello stanotte rimanere nel sonno con le immagine così vivide del tuo video, a tratti volevo mi entrassero profondamente in quello che sta dietro agli occhi. la foglia gialla, la storia, il tempo, i passaggi in corsa, l'infanzia e la morte spruzzata di colore come accenti sui significati delle parole. il punto di vista che mi sembra dia la possibilità di scuotere proprio il suo punto fermo, l'angolatura che entra lì dove non aspettavi di voler vederla. quello che mi piace di più sono le riprese sugli attori in scena o in movimento, i ritagli di città e molte altre immagini storiche, qui non tutte, alcune le avevo già viste e mi rimandavano altrove. quella dei due uomini sull'erba mi colpisce davvero. te lo volevo dire già l'altra volta, il tuo sguardo in video, la tua poesia, mi fa pensare a qualcosa che nasce dalle radici, da una bocca oscura e
lettera di pierre lepori su ' diario del pane ' 15 febbraio 2005 Caro Stefano, Il libro è arrivato, l’ho letto d’un fiato e… … e natural me nte sento tutta la vicinanza che puoi subodorare. In principio (per principio?) ero disturbato dai puntini, ma ben presto mi sono accorto che funzionavano, avevano un senso profondo ritmico. E poi il libro mi ha trasportato, con quella forza strana che hanno i libri di poesia quando sanno essere un magnete. Non ho spiegazioni, non so davvero capire perché su certi libri mi addor me nto, su altri resto incollato (non c’è la scusa di una narrazione, co me nel romanzo). Allora tento classificazioni, me tto a punto segnaletiche. Preparati all’esercizio definitorio (e scusami in anticipo). Ecco quel che cerco/trovo, decalogo: - Una poesia onesta, ma dopo Saba (che la formula la coniò nel 1912), vale a dire dopo Celan e dopo Adorno. Peggio: dell’invasione della guerra (vissuta o vista) nel quotidiano. - Un libro co me viaggio
su 'diario del pane' di Gianfranco Lauretano Non c'è niente da fare, la cosa che rimane maggiormente impressa di questo libro (quella scia memoriale che come in tutti i libri forti e incisivi s'imprime come un sapore inimitabile) è la sua forma. Eccone subito un esempio: "ora c'è la morte in pace . questo cielo atroce ./c'è mio figlio sotto la collina nera . la bocca piena di falene ./c'è la guerra . e ha ancora fame .". Sono testi che usano l'a-capo, la versificazione, ma aggiungono ad essa una cesura: il punto che cala come una mannaia dentro il verso e aggiunge spazio a quella sintassi già martoriata dalla spezzatura che è la poesia. È un dispositivo stilistico tipico di Stefano Massari, quasi la sua carta d'identità formale. Non so se ne farà uso per sempre: so che lo usa sempre, anche nella sua prosa, che costituisce così un piccolissimo scarto dalla poesia: semplicemente sparisce l'andata a capo, ma non questa ferita continua che