Passa ai contenuti principali

 Serie del ritorno Stefano Massari

una lettura di Riccardo Raimondo


«Bisogna leggere questi versi […] Tra corpo e cosmo, tra dono e maledizione, tra il chiuso delle pareti e la ferita del mondo, siamo scaraventati nelle pagine di questo libro, nelle parole di un'anima generosa e braccata» 
– uno stralcio dalla generosa prefazione di De Angelis a Serie del ritorno (La Vita felice 2009), di Stefano Massari.

E bisogna leggerli, sì.
E, se di De Angelis abbiamo apprezzato l'urgenza nervosa del verso – una certa frenesia fisiologica che guida la composizione – troveremo in Massari pane per i nostri denti.

Un'urgenza dell'Esserci, che redime decenni di postmoderno dall'apofatico Non chiederci la parola... Questa poesia è «un'arteria fredda dei forti contro ogni tuo stupido enigma»:
«allora sono io    il muro   io il nascerti io che muoio sono
il tribunale quotidiano in ogni buio in ogni volta che parliamo»
«allora sono io   la legge dove non farai ritorno   io
a gerarchia nemica della febbre   e del bene tutto a ogni costo
io   nell'infinita posizione di pazienza e nutrimento»
La forma grafica, testimonianza di questa «gerarchia nemica della febbre», tende a unire, a raggruppare, a condensare: queste poesie sono agili ma pesanti trame di senso, “fanno il punto” del senso, lo ristrutturano partendo da una materia prima frammentaria.

I versi sono distribuiti secondo a capo e strofe, ma all'interno d'un verso le parole (o i gruppi di parole) sono isolate da uno “slot” fisso di tre spazi, come dire “una dissolvenza” di senso, oltre che un'efficace pausa ritmica; oppure, continuando lo stile della sua prima opera edita Diario del pane (Raffaelli 2003) «tende ad aggregare su ogni singola linea frasi o parti di frase separate da punto fermo (senza peraltro che mai si faccia ricorso a qualsivoglia maiuscola)» (dalla postazione a Diario del pane, di Alberto Bertoni):

da Serie del ritorno
«dovevamo restare uniti . tu ricordi? 
dicevi   urla qui   sulla mia carne   non uccidere   non uccidere nessuno»
oppure da Diario del pane
«la notte piange . viene la morte dell'amico . La tua voce è più alta . 
chi ti protegge fratello . resterò con te . vivo fino al legno dell'anima . fino ai gesti dell'alba . per sempre».


Da Diario del pane a Serie del ritorno scorgo un ritorno spirituale, mistico, che nella forma si esprime come un più esperto e disinvolto tentativo di ricostruzione.
Tentativo che però non risulta manifestarsi in radicali cambiamenti stilistici, quanto più in percettibili mutamenti di senso.
Dallo «sbriciolamento dei sintagmi» (A.Bertoni) – dalla forma icastica, dallo «sporco sole», dal «girasole nero», dalla «morte pura» (di rilkiana memoria) – della prima raccolta, si passa a una presa di posizione più forte, più ferma di quest' «anima braccata» nei confronti dei suoi martiri.
Un ritorno al cuore, un'esperienza più genuina, lucente e potente dell'infinitamente piccolo:
«hai la ferita terrestre sul fianco   ora puoi stare nell'abisso 
capire perché dentro mi batte   ogni tuo passo   allarme    respiro 
ogni strumento vivente    ogni destino»
Così in cielo come il terra, la ferita nell'essere è quella poetica di Luzi, ma è anche quella sacra del Cristo. È la ferita che monda il male:
«È facile capire 
gli assassini. Ma questo: la morte, 
tutta la morte, ancor prima della vita, così 
soavemente racchiudere, e non adirarsi, è indescrivibile» 
(R.M.Rilke, Elegie Duinesi, IV, traduzione di Jutta Leskien e Michele Ranchetti)

Commenti

Post popolari in questo blog

PER “MACCHINE DEL DILUVIO”.  Stefano Massari 1 APRILE 2022  ~  ADMIN A Stefano di MARCO ERCOLANI  per-macchine-del-diluvio Osip Mandel’štam consigliava: «Distruggete i manoscritti, ma conservate ciò che avete tracciato a margine, per noia, per disperazione, come in sogno», Quella scrittura “tracciata a margine” e segnalata dal poeta russo, svincolata dalle convenzioni e sospesa tra estrosità del segno e imprevedibilità del senso, appartiene alle scritture non canoniche, che non vogliono essere definite come romanzi ,  racconti, raccolte poetiche: sono “scritture-schizzo”, dove l’artista prova i suoi sogni, abbozza le sue mappe mentali. A questo genere di scrittura sento che appartiene il tuo ultimo libro di versi,  Macchine del diluvio , pubblicato nel 2022 dalla collana “Insetti” a cura di Pasquale di Palmo, alla distanza di tredici anni dal tuo  Serie del ritorno.  Cosa posso dirti, Stefano, al di là della prevedibile gioia di tornare a leggere i tuoi versi? Solo questo: chi  cade  n
Ancora non sai cosa vuole la morte da te La poesia di Stefano Massari  MARCO MOLINARI  5 Dicembre 2022 Del diluvio universale raccontato nella  Genesi  si tende a porre in evidenza l’aspetto della salvezza, l’arca dell’alleanza con la quale Noè, uomo giusto, ha messo in salvo il genere umano e gli animali che poterono riprodursi e avviare una nuova creazione. Rimane in ombra la causa del diluvio, la volontà di Dio di distruggere ogni uomo, farlo perire:  E Dio disse a Noè: “Nei miei decreti, la fine di ogni essere vivente è giunta; poiché la terra è piena di violenza a causa degli uomini; ecco, io li distruggerò, insieme con la terra. ” (Genesi 6, 13). Vi sono poeti che hanno deciso di fare i conti con questo impietoso retaggio, rendendolo oggetto di un serrato faccia a faccia. È il caso della raccolta di Stefano Massari,  Macchine del diluvio , pubblicata da MC edizioni. Massari vive a Bologna e ha alle spalle alcune precedenti raccolte, nonché un intenso lavoro su progetti sviluppati
I morti li portiamo in bocca»:  recensione a "Macchine del diluvio"  di Stefano Massari a cura di Alessandro Pertosa https://www.almapoesia.it/post/i-morti-ce-li-portiamo-in-bocca-recensione-a-macchine-del-diluvio-di-stefano-massari Inchiostro   di   fuoco   in   una   mano;   penna-spada   scintillante   nell’altra:   Stefano   Massari,   con   Macchine   del   diluvio   (MC   edizioni,   2022),   è   un   funambolo   su   un   filo   troppo   delicato   che   si   spezza.   Sferra   l’assalto   al   cielo,   mentre   cade   e   sprofonda   nel   cuore   cavo   della   morte,   in   quella   voragine   famelica   e   originaria   che   inghiotte   la   vita. In   lui   si   percepisce   subito   il   desiderio   irrefrenabile   di   infilare   lo   sguardo   fin   nel   proibito;   di   illuminare   il   buio,   di   spingersi   dentro   il   segreto   dell’universo,   nel   punto   più   oscuro,   lì   proprio   dove   la   ferita   si   slabbra   in   un   gorgo   senza