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Serie del ritorno 

Bisogna leggere questi versi. Hanno un’urgenza mortale, hanno la tensione di chi compie un atto decisivo, un atto oscuro e antico dove si intrecciano salvezza e catastrofe. Bisogna credere, letteralmente, a ognuna di queste parole. Portano con sé un urlo, ce l’hanno addosso, sono infestate dall’urlo dei morti. Perché questo è un libro scritto vicino alla morte. Con improvvise rinascite, barlumi, terre felici. La morte sembra dettarlo a viva voce. L’addio è incessante. La parola è tempestosa. Chiede, invoca, comanda, crolla. Tutto avviene sul bordo dei pozzi. Una minaccia ignota la insegue, la spinge nelle vie buie del mondo e della mente, come in certe pagine russe, dove l’assoluto si sfiora nel grido e nella bestemmia, come in certe imprecazioni notturne dei Karamazov, dove l’assassino più infame legge nelle linee della mano una strana pietà. Qui tutto è percussivo, febbrile, incessante, forsennato (“io non so ringraziare a parole / solo smetto di colpire”), ci trascina verso una diga, ci preme contro il cemento, ci fa sentire tutta la forza di una tragedia imminente. Tra corpo e cosmo, tra dono e maledizione, tra il chiuso delle pareti e la ferita del mondo, siamo scaraventati nelle pagine di questo libro, nelle parole di un’anima generosa e braccata.

(Dalla presentazione di Milo De Angelis)

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