“ a te che credi ancora al tuo cielo/ chiedo se davvero ami me anche dopo il male questo e quello ancora a venire ”, (p.40). E’ un padre che parla a un padre e gli chiede conto della sua mancanza. Questa mancanza è espressa con un grido o un ragionare a voce alta facendo traboccare con i mm agini incandescenti o con lo stare a braccia aperte, arreso, l’incredulità del male che abbiamo ricevuto in pegno della nostra esistenza. E’ l’essenza di questo libro dei vivi, parafrasi umanissima di un antico genere dal valore sapienziale, in cui ai vivi veniva insegnato l’attraversa me nto del regno dei morti attraverso l’utilizzo di regole severissi me , in un percorso di sopravvivenza per vincere i mostri che nel sonno della morte attanagliano la coscienza e la divorano. E se lì, nel libro dei morti, dalla parola esattissima e giusta me nte pesata della formula magica, dipendeva lo stato di una coscienza più alta in un altro mondo, qui la salvezza abita la terra, l’assenza di ombra,